|
1911 Official Program 10 Cent.
|
“Gentlemen
start your engines”, questa magica frase risuonò
per la prima volta il 30 maggio 1911 dando così inizio
alla più celebre e ricca corsa del mondo: la 500 Miglia
di Indianapolis. Primo vincitore fu Ray Harroun con la Marmon
Wasp (Vespa), molto probabilmente la prima auto da corsa ad
essere dotata di uno specchietto retrovisore avente inoltre
funzione di parabrezza. Harroun coprì il percorso sull’anello
ovale, lungo poco più di 4 Km. con il fondo costituito
da milioni di mattoni e con le curve sopraelevate di 9°12’,
alla notevole media di 74.6 MPH pari ad oltre 120 Km/h. Per
35 giri, a circa metà corsa, Harroun fu rilevato nella
guida da Cyrus Patschke, il suo capo-meccanico, mentre sette
auto si alternarono per 12 volte alla testa della gara.
|
|
La FIAT S74 di David Bruce Brown si classificò terza
per venire poi in Europa a correre con onore il GP di Francia.
Bruce Brown entrò nella leggenda delle corse perché
gareggiava con il volto mascherato e quasi sicuramente usando
uno pseudonimo. Anche il circuito dopo la prima edizione della
500 Miglia spalancò le proprie porte alla leggenda, vuoi
per la posa del famoso mattone d’oro sulla linea del traguardo,
vuoi per il senso di corsa antiorario e vuoi per la partenza
lanciata al seguito della pace-car.
Un simile anello tempio della velocità non poteva non
suscitare l’interesse per i record e già nel 1911
la Mercedes “Blitzen” Benz di Barry Oldfield vi
colse il primo di una serie che si protrasse per tutti gli anni
a venire.
La seconda edizione del 1912 fu una gara epica dominata dalla
Mercedes di Ralph De Palma che vide sfuggire la vittoria a soli
2 Km. dal traguardo quando aveva anche avuto un incredibile
vantaggio di 5 giri sul vincitore Joe Dawson al volante di una
National, mentre la FIAT di Tezlaff occupò la seconda
posizione.
Nel 1913 ebbe inizio con la Peugeot di Jules Goux il ciclo delle
marche europee (Peugeot, Delage, Mercedes) i cui piloti conquistarono
la coppa, su cui sono effigiati i volti dei vincitori, per cinque
anni consecutivi.
|
1911: il vincitore Ray Harroun su MARMON WASP
|
Prima
della nascita della 500 Miglia altre competizioni si erano già
svolte ad Indianapolis con il predominio (così come nella
Coppa Vanderbilt) della squadra Buick composta da Bob “Wild”
Burman e Louis Chevrolet, che utilizzavano l’ottima BUICK
BUG (“cimice”) dal caratteristico radiatore a ferro
di cavallo disposto sul cofano motore. Questa macchina nel triennio
1908-1910 collezionò la bellezza di oltre 500 trofei.
|
|
|
1910:
Bob Burman e Louis Chevrolet al volante delle loro BUICK BUG |
BUICK
BUG 1910 (Mod. ABC BRIANZA) |
|
L’anello
di Indianapolis non poteva non suscitare l’interesse per
i record e già nel 1911 la Mercedes “Blitzen”
Benz di Barney Oldfield vi colse il primo di una serie che si
protrasse per tutti gli anni a venire.
La seconda edizione del 1912 fu una gara epica dominata dalla
Mercedes di Ralph De Palma che vide sfuggire la vittoria a soli
2 Km. dal traguardo quando aveva anche avuto un incredibile
vantaggio di 5 giri sul vincitore Joe Dawson al volante di una
National, mentre la FIAT di Tezlaff occupò la seconda
posizione.
Nel 1913 ebbe inizio con la Peugeot di Jules Goux il ciclo delle
marche europee (Peugeot, Delage, Mercedes) i cui piloti conquistarono
la coppa, su cui sono effigiati i volti dei vincitori, per cinque
anni consecutivi.
|
|
|
|
1915: Stutz contro Peugeot
|
1916: Duesemberg contro Peugeot.
E’ evidente lo sviluppo aerodinamico alla ricerca di maggior
velocità.
|
|
|
|
|
|
1917: l’avveniristica MILLER GOLDEN SUBMARINE di Barney
Oldfield che la portò sia in caccia di record che sugli
ovali (Indianapolis compresa) in cerca di vittorie che arrivarono
copiose, 20 su 54 gare, e molti altri buoni piazzamenti. Oldfield,
scosso dalla morte sulla pista di Corona dell’amico Bob
Burman, volle la carrozzeria chiusa come protezione in caso
di incidente.
|
|
|
1920: la PEUGEOT 3L di Jules Goux (Mod. NOREV)
|
|
|
Nel
1920 la vittoria andò a Gaston Chevrolet alla guida di
una Monroe, auto che diede il via al predominio incontrastato
delle vetture americane per i successivi venti anni. Gli yankee
drivers non disdegnarono le corse in Europa, tanto che nel 1921
Jimmy Murphy vinse a Le Mans il primo Grand Prix de France del
dopoguerra con una Duesemberg otto cilindri tre litri, per poi
vincere l’anno dopo la 500 Miglia sempre con una Duesemberg
da lui stesso modificata.
I costruttori statunitensi non smisero di sviluppare i loro
motori ad otto cilindri con compressore centrifugo che raggiunsero
potenze elevatissime (una Miller con intercooler del 1927 aveva
290 Hp a 6.800 giri).
Nel 1925 vinse la 500 Miglia l’italo americano Peter De
Paolo con la Duesemberg, nel 1926 fu la volta del giovane campione
Frank Lockhart, un’autentica meteora paragonabile a Guy
Moll, che dominò la gara dopo aver provato per la prima
volta un’auto da competizione soli pochi giorni prima
della corsa.
|
|
1926: FRANK LOCKHART su MILLER SPECIAL
|
Lockhart
nel 1928 diventò ancora più famoso negli Stati
Uniti per aver vinto con la Stutz Black Hawk (Falco Nero) sull’anello
di mattoni la “Indianapolis 24 Hours Race”, quindi
una vera e propria gara di resistenza per macchine velocissime.
Le Mans docet. |
|
|
|
Frank
Lockhart su STUTZ BLACK HAWK SPECIAL che reca la scritta MADE
IN INDIANAPOLIS |
Dal 1929 ai nomi delle più famose case costruttrici Duesemberg,
Miller, etc. si sostituirono quelli degli sponsor e le vetture
assunsero le coloratissime livree che contraddistinguono tuttora
le auto della Formula Indy.
|
|
|
Ray Keech su SIMPLEX PISTON RING SPECIAL
vincitore dell’edizione 1929 della 500 Miglia
|
Di rilievo nel 1931 l’impresa della Cummings a motore
diesel che percorse i 200 giri di pista senza soste per il rifornimento
di carburante.
Nel 1937 sul gradino più alto del podio d’Indianapolis
sale un pilota il cui nome diverrà famosissimo anche
in Italia, Wilbur Shaw. Questi, con l’introduzione nel
1938 della nuova formula mutuata dalle gare europee (motori
con limite massimo di 3 litri di cilindrata con compressore
o 4,5 litri se atmosferici) si rese conto della superiorità
della tecnica del Vecchio Continente e venne a Bologna in visita
alle Officine Maserati dei fratelli Orsi per acquistare una
magnifica “8 CLT”.
Con la fiammante vettura, ribattezzata Boyle Special in omaggio
allo sponsor (una fabbrica di pipe), Shaw vinse sia l’edizione
della 500 Miglia del 1939 sia quella del 1940 e avrebbe vinto
anche nel 1941 se al 152. giro non avesse ceduto un cuscinetto
di una ruota mentre era largamente in vantaggio su Mauri Rose,
che aveva rilevato il compagno di squadra Davis. Le brutte abitudini
europee contagiarono anche i regolamenti di Indianapolis di
cui nel dopoguerra Wilbur Shaw divenne direttore di gara.
Mauri Rose trionferà ancora nel 1947 e nel 1948 vincendo
con una “Blue Crown Special” (Moore-Offenhauser
4500) a trazione anteriore, mentre l’edizione minore del
1946 aveva visto la partecipazione di Villoresi (settimo), Varzi
e l’iscrizione di Caracciola ammesso alle prove ma non
alla corsa in quanto cittadino tedesco, nonché l’utilizzo
di numerose auto europee prebelliche
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
In
Italia l’interesse per Indianapolis salì alle stelle
nel 1952 quando scese in pista la Ferrari con Alberto Ascari.
L’auto era una 375 F.1 4500 di cilindrata e mise in luce
l’eccezionale bravura del futuro due volte campione mondiale,
che pur disponendo di una vettura inadatta alle piste ovali (e
con curve sopraelevate!) segnò nei tempi dei quattro giri
di prova una differenza di soli 14 centesimi di secondo, mentre
in gara fu costretto al ritiro per il cedimento del portamozzo
posteriore destro. Un’analoga vettura Ferrari fu consegnata
al vincitore del 1950 Johnnie Parsons che però non la utilizzò
giudicandola non competitiva per l’uso sul velocissimo circuito.
Nel 1956 e nel 1957 anche Nino Farina, il primo campione del mondo
della F.1, tentò la sorte con una Ferrari modificata, la
Bardhal Special, con telaio Kurtis, ma entrambe le volte non riuscì
a qualificarsi per uno dei 33 posti sulla griglia di partenza
(su altra pagina del sito è ampiamente illustrata la storia
di questo evento un po’ avventuroso). |
|
BARDHAL
FERRARI EXPERIMENTAL (Mod. GLAMOUR)
|
|
|
|
|
|
Considerato il fatto che la gara di Indianapolis era una delle
prove valevoli per il Campionato Mondiale di F.1 e rimarrà
tale sino al 1960, si cercò d’attirare l’attenzione
degli americani organizzando a Monza una competizione aperta
alle vetture d’oltreoceano, ovvero la 500 Miglia di Monza
che si svolse nel 1957 e nel 1958 sulla pista brianzola, comprensiva
dell’anello sopraelevato di alta velocità e con
senso di marcia invertito per rispettare la distribuzione dei
pesi delle dieci vetture americane invitate.
Lo svolgimento della 500 Miglia di Monza 1957 prevedeva tre
manche per non affaticare oltremodo i telai ed i pneumatici
delle auto ma le rotture di sospensioni, ruote, sterzi ed anche
telai non si contarono e solo il vincitore Jimmy Bryan riuscì
a coprire l’intera distanza prevista. La Jaguar “Type
D” (vettura dominatrice alle 24h di Le Mans di quegli
anni) di Fairman ottenne il quarto posto alle spalle delle vere
auto Indy.
La 500 Miglia di Monza si ripeté con la seconda ed ultima
edizione l’anno successivo. Questa volta i dieci bolidi
USA, preparati molto meglio, trovarono la valida opposizione
della Ferrari e della Maserati.
La Ferrari schierò delle monoposto di 4.200 cm3 e Luigi
Musso ottenne la pole position ed il terzo posto in gara (in
coabitazione con Hawthorn e Phil Hill).
|
|
|
|
|
|
Anche il Campione del Mondo della F.1 Juan Manuel Fangio scese
in pista nella terza manche al volante della Dean Van Lines
Spl. (Kuzma-Offy) con cui Jimmy Bryan l’anno precedente
aveva vinto il Trofeo dei Due Mondi ed era giunto terzo ad Indy.
L’asso argentino, prossimo al ritiro, alla sua ultima
apparizione sulla pista di Monza, mal si adattò alla
guida del roadster americano che disponeve di due sole marce
per scaricare i 350 Hp sviluppati dal motore di 4128 cc. e percorse
solo due giri, ufficialmente per la rottura della pompa del
carburante. L’ex ferrarista Maurice Trintignant prese
il via con la Sclavi & Amos Spl. ma fu poi rilevato alla
guida dal giovanissimo A.J. Foyt che il mese prima aveva esordito
ad Indianapolis, mentre Harry Schell disputò due manche
della gara con la Ferrari del North American Racing Team di
Luigi Chinetti che altri non era che la vetusta 375 Indy rifiutata
da Johnnie Parsons nel 1952.
|
J.Manuel
Fangio alla 500 Mls di Monza 1958
Dean Van Lines Spl. (Kuzma-Offy) |
Ferrari
N.A.R.T.
|
La Maserati emise il suo canto del cigno e fece correre la leggendaria
vettura Eldorado (dal nome dello sponsor), un’otto cilindri
a V di oltre 4.000 cm3 con alla guida Stirling Moss.
Questa vettura, grazie anche ad una delle prime riprese televisive
della storia sportiva italiana, entrò di prepotenza nell’immaginario
collettivo e per i ragazzi dell’epoca vi rimane tuttora.
Moss era in un’ottima seconda posizione quando la rottura
dello sterzo in piena velocità lo costrinse alla resa
lasciandolo miracolosamente illeso.
Jim Rathmann colse la vittoria con la sua “Ken Paul Special”
(Watson Offenhauser) all’incredibile media di 268 Km/h,
la più alta mai raggiunta all’epoca.
Nello spazio dedicato dal sito alla FERRARI e AUTODROMO
di MONZA si trova un resoconto completo della 500 Miglia
di Monza 1958 con alcune foto inedite dell’evento.
|
|
La 500 Miglia concluse così la breve epopea monzese e
ritornò nella sua sede naturale: per affrontare le curve
sopraelevate ci vogliono auto costruite con appositi criteri
e pneumatici pensati e realizzati per questo particolare impiego.
La Storia non insegna ed il Circus della F.1 non ha memoria.
Non possiamo dimenticare i cugini di Indianapolis ovvero i tracciati
ovali in terra battuta, in genere cenere. Anche Nuvolari, che
non riuscì mai a correre ad Indianapolis, si cimentò
nel 1936 in questo spettacolare genere di competizioni; le macchine
concorrenti definite da dirt-track (tracciato sporco) altro
non erano che vetture della Formula Indy con telaio accorciato
per renderle più maneggevoli.
La “Fike Plumbing Special” di Parnelli Jones ne
costituiva un bellissimo e vittorioso esempio.
|
|
|
Ed ecco una breve carrellata delle famose vetture vincitrici
di Indianapolis di cui solo pochi fortunati poterono all’epoca
captarne le immagini: è una splendida (modellisticamente
parlando) sequenza che ancora adesso affascina per la semplicità
costruttiva delle auto e soprattutto per il loro accattivante
look. Nel 1961 anche ad Indianapolis comparve il nuovo stile
della tecnica automobilistica, cioè il motore posteriore.
Jack Brabham già due volte campione della F.1 portò
in corsa una Cooper-Climax 2.700 cm3 classificandosi nono e
mostrando agli americani che “i buoi potevano anche spingerlo
il carro”.
Infatti, nel 1962 scese in pista la prima vettura made in U.S.A.
a motore posteriore realizzata da Mickey Thompson, spinta da
un Buick 8 cilindri derivato di serie e con gomme larghe e piatte
con sezione di soli 12 pollici. Nessuno lo sapeva ancora, ma
erano così nate le gomme slick.
|
|
|
|
|
Fu nel 1963 che il motore posteriore s’impose prepotentemente
all’attenzione quando le Lotus Ford di Jim Clark e Dan
Gurney contesero sino all’ultimo centimetro la vittoria
a Parnelli Jones, la cui vettura perdeva olio ed i commissari
di gara non ebbero il coraggio di fermarla nonostante provocasse
paurose sbandate agli incolpevoli inseguitori. La monoposto
più rivoluzionaria fu però ancora la Thompson
divenuta “Harvey Alluminium Special” motorizzata
Chevrolet e condotta in prova anche da Graham Hill; allo Speedway
dell’Indiana non facevano certo difetto i campioni della
F.1!
|
|
|
Lo
svolgimento della gara del 1964 vide ancora Clark sfortunato
protagonista, costretto a cedere per il cedimento dei pneumatici
Dunlop mentre il vincitore A.J. Foyt, in lizza praticamente
con la stessa auto del ’61, non effettuò nessun
cambio gomme. Finalmente la vittoria arrise all’inossidabile
binomio Jim Clark-Lotus nel 1965 e nel 1966 fu la volta di Graham
Hill al volante di una Lola. |
|
1965: JIM CLARK su LOTUS powered by FORD
vincitore davanti a Parnelli Jones e Mario Andretti
|
Nel
1967 a trionfare fu ancora Foyt ma l’attenzione dei media
e di tutti si riversò sulla STP Oil Treatment Special
Turbine a 4 ruote motrici ed equipaggiata con un turboreattore
d’ elicottero; iscritta da Vince Granatelli fu guidata
da Parnelli Jones, che divenne il primo pilota di un’auto
a turbina (strada immediatamente seguita anche dalla Lotus).
La sibilante vettura, che rese celebre in tutto il mondo il
marchio STP, condusse quasi tutta la gara con una superiorità
deprimente per tutti gli avversari sino a quattro giri dal termine,
quando cedette un cuscinetto della trasmissione costringendola
al ritiro.
Questa edizione della 500 Miglia segnò il record degli
spettatori presenti: quasi un milione di paganti fra pista e
teatri dove la gara venne trasmessa in diretta TV a circuito
chiuso.
|
COLIN CHAPMAN e JIM CLARK
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Pagina
pubblicata il 12/10/2005 - Ultimo aggiornamento 10/10/2014
|