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La
lettura di queste pagine trasporta in un mondo magico fatto
di motori, di piloti, di strutture non più esistenti,
che hanno lasciato il segno indelebile in tutti gli appassionati
di automobilismo. Le fotografie sono datate e quindi il bianco
e nero a volte sembra avere tinte non reali. Ma è bello
vederle anche così, ricordando questo autodromo e aereoporto,
sorto negli anni 50 nel centro di Modena. Al suo posto, dove
un tempo correvano bolidi e piloti, ora c'è il Parco
Ferrari. MfB |

Inaugurazione
dell'Autodromo |

Inaugurazione
dell'Autodromo |

I
corridori |

Ascari
prima del via |
Testi tratti da:
"Il romanzo dei bolidi rossi - Storia
e leggenda dell'Aerautodromo di Modena"
Giancarlo Benatti e Piero Pedroni - Il Fiorino Editore -
Modena
Autodromo più Aereoporto, uguale Aerautodromo
L'Aerautodromo di Modena, come indicava la scritta posta sopra
il portone d'ingresso dalla via Emilia, tra la stazione di servizio
e il bar, diventa subito un "tempio", un luogo insieme
sacro e profano per i modenesi.
Entra a far parte della vita cittadina ed esercita sempre un
forte richiamo.
Le maniche del vento, l'hangar, la torre di controllo dipinta
a quadri bianchi e rossi, la pista in cemento che tagliava in
diagonale il grande rettangolo recintato e alcuni aerei parcheggiati
pronti a decollare, rendevano subito giusta la definizione di
aereoporto. Protagonisti delle evoluzioni dei piloti dell'Aereo
Club cittadino erano alcuni M.B.308 detti Macchino. Aerei biposto,
con motore ad elica, ad ala alta con carrello a triciclo. Avevano
una velocità massima di 180 km/h e raggiungevano una
quota di 4000 metri. Questi aerei con la sigla I.CUBI sotto
le ali, erano usati anche come aerei scuola per i corsi piloti
dell'Aeroclub.
Poco più in la si entrava nel vero ambiente dell'autodromo.
Il lungo rettilineo di partenza con al lato esterno la lunga
fila dei box, dietro ai quali stava un largo ed utilissimo piazzale
per i furgoni officina, il personale di servizio e gli addetti.
Dai box e dal luogo della direzione corse, si dominava tutto
il percorso della pista, nella vasta area che a sud raggiungeva
la strada San Faustino, sulla quale cominciavano a crescere
le case prima che la campagna si perdesse verso gli Appennini
e il monte Cimone, a est era delimitata dalla bassa e lineare
edilizia da caserma del 6°Campale, sopra la quale spuntava
alta e slanciata la Ghirlandina e a nord finiva con la via Emilia,
separata dal canale Bianco, dove si trovavano la carrozzeria
Orlandi e le case verso la Madonnina. Il grande spazio dell'autodromo,
che fu recintato da un ciclopico muro lungo quasi tre chilometri
e alto tre metri, era un grande e magnifico rettangolo verde,
piano e regolare, percorso nel perimetro interno dalla pista,
un nastro asfaltato color argento con i segni neri delle gomme
sulle traiettorie dei bolidi, collegato ai due angoli più
lontani dalla pista diagonale degli aerei.
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Variante
nord del circuito |

Alberto
Ascari in gara |

Ingresso principale |

Jean
Behra su Maserati |
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La
tribuna del Circolo della Biella
Nell'angolo adiacente all'incrocio tra viale Autodromo e strada
San Faustino, era stata ricavata la famosa esse su suggerimento
di Vittorio Stanguellini, chiamata la "variante Stanguellini",
che doveva rallentare la velocità prima della stretta
curva a gomito di fronte alla quale stava, appoggiata al muro
di recinzione, la tribunetta privata riservata ai soci del Circolo
della Biella. Circolo costituito in concomitanza con la nascita
dell'autodromo e della febbre per le competizioni.
Senza statuto, carta bollata, cariche sociali e complicati meccanismi
di funzionamento, il Circolo improntato all'amicizia e alla
simpatia, aveva come luogo di appuntamento per discutere di
motori il "primo albero a destra uscendo dal Teatro Storchi".
L'organizzatore, unico responsabile che restava in carica "fino
a quando era sopportato dai soci", aveva il compito di
curare l'intervento dei soci alle riunioni periodiche dello
sport del motore, presso "mense amiche". Il simpatico
Circolo aveva come tessera n.1 Enzo Ferrari e vantava l'amicizia
e l'iscrizione dei più grandi campioni frequentatori
dell'autodromo. Si sciolse con la chiusura dell'Autodromo. Negli
ultimi anni il Circolo della Biella è stato ricostituito
a testimonianza di un'inesauribile passione.
L'enorme muraglia di recinzione, sembrava chiudere fuori i rumori
e le pulsazioni della città, per contenere quelli più
violenti degli scatenati bolidi da corsa. Eppure il senso di
silenzio, di calma, di luogo magico nel quale stava per svolgersi
un'avvenimento importante, uno spettacolo unico, invadeva chi
entrava.
Una siepe tagliata geometricamente, correva lungo il rettilineo
della tribuna, separava la zona spettatori e testimoniava la
rigorosa cura dei particolari. Per giorni e giorni il contadino
incaricato, falciava l'erba della grande area e alla fine restava
un prato magnifico e regolare di 50 ettari. Per i ragazzini
degli anni cinquanta, quando il rombo dei motori invadeva la
città, il recinto dell'autodromo diventava un ostacolo
da superare a tutti i costi. Il richiamo era irresistibile.
Allora il giro in bicicletta all'esterno dell'autodromo diventava
una specie di "grad-tour" alla ricerca del passaggio
per entrare nel grande recinto, all'interno delle mura e vedere
i bolidi sfrecciare. Arrivati dalla città si vedeva il
muro, che cominciava dove finiva quello del 6°Campale, subito
al di là del canale. Il primo portone in grossa lamiera,
di fronte a Viale Carlo Zucchi, era sempre chiuso. Veniva aperto
durante le gare per l'ingresso del pubblico alle tribune di
terra di quel lato.
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La
Ferrari di Castellotti |

Mario
Tadini in azione
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Piazzale
Nord
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Prove
della Lancia D50
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Il
giro continua...
Di là del canale, sulla ripida sponda, si era formato
uno stretto sentiero che serviva a quelli che erano capaci,
di arrampicarsi sulla muraglia per godersi lì seduti,
le prove e anche da portoghesi, le gare ufficiali. Sulla sponda
del canale che saliva verso il muro, nascosto da una macchia
di verde, fu scavato un passaggio "segreto" che consentiva,
strisciando sotto la fondazione del muro, di entrare clandestinamente.
Per quello stretto tunnel poteva passare solo chi era smilzo
e non senza fatica. Il cunicolo, frutto dell'inventiva dei più
determinati, veniva ripristinato e usato in occasioni straordinarie
da una specie di "banda del buco", composta di temerari
e magri ragazzi che non conoscevano ostacoli. Prima di incrociare
viale Autodromo, il muro rientrava e nel piazzale a lato della
via Emilia si trovava il gommista, la stazione di servizio con
annessa attività di riparazione auto, l'ingresso della
zona box, per le auto sportive su carrelli a traino o su furgoni
officina delle case e il bar con i tavolini. Luogo deputato
alla sosta degli appassionati, il bar, che si affacciava anche
all'interno sull'area dell'autodromo, era uno di quei luoghi
dove tutto parlava di auto e di corse, con vetrine e specchi
pieni di fotografie di Fangio, di Ascari, di Moss e di bolidi.
Svoltato a sinistra, per viale Autodromo, il muro proseguiva
fino all'ingresso alla torre di controllo e alla palazzina dell'Aereo
Club. Questo portone era quasi sempre aperto e si poteva entrare
fino ad un cancello. Da una recinzione metallica, si poteva
vedere poco lontana, l'area dei box e si vedevano bene le auto
che facevano a gran velocità, con qualche testacoda,
la larga curva che immetteva nel rettilineo di arrivo. Entrare,
varcare il muro di recinzione, trovarsi nel cuore dell'autodromo
a intrevedere uno scorcio delle prove, era già un risultato
che appagava e faceva felici. Ma non bastava. Usciti si riprendeva
a percorrere viale Autodromo, si oltrepassava la schiena della
grande tribuna e più avanti il piazzale quadrato rientrante,
con i tre portoni dell'ingresso principale, sormontati dai pennoni
delle bandiere. Proseguendo si arrivava, dopo aver svoltato
a sinistra, sulla strada San Faustino, con le case sul lato
destro che praticamente si affacciavano sull'autodromo. Che
invidia facevano quelle finestre e quei balconi rivolti verso
il grande spettacolo. Poi, di colpo, il muro finiva e si volgeva
ad angolo retto verso l'interno della campagna, per raggiungere
di nuovo il recinto del 6°Campale.
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Ascari
e Villoresi ai box |

Tribuna
centrale
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Variante
Stanguellini
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Fangio
taglia il traguardo
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La
"conquista" dell'Aerautodromo
Ma il giro non era finito. Passata la rete di filo spinato,
con una complicata operazione per via della bicicletta a mano,
che non si poteva lasciare sulla strada, si camminava su un
sentierino che costeggiava il muro. Era un percorso in precario
equilibrio a volte da un lato e a volte dall'altro di un fossato.
Si arrivava ad un punto in cui il muro si interrompeva di colpo,
per 30 metri, in diretta prosecuzione della pista di aviazione.
Quell'ampio passaggio consentiva di eludere facilmente la sorveglianza,
di nascondersi dietro la siepe a lato della pista e assistere
alle prove dall'interno. Quella apertura sul lungo muro, voluta
per la sicurezza degli aerei in atterraggio e decollo, che veniva
poi chiusa con tavole di legno in occasione delle gare, fu il
providenziale passaggio attraverso il quale si poteva entrare,
superare la muraglia, violare quello spazio che la grande recinzione
rendeva misterioso, sacro e protetto. Conquistato così
l'autodromo, ci si trovava davanti lo spettacolo dei bolidi
rossi. Se si era fortunati provavano, in quel pomeriggio o in
quella tarda mattinata di un giorno qualsiasi, da marzo a ottobre,
le Ferrari o le Maserati, le Stanguellini o le auto della Scuderia
Centro Sud. Spesso provava anche qualche bolide sconosciuto,
con scritte inglesi o americane, portato dai proprietari da
chissà dove, per usufruire delle magiche capacità
dei meccanici modenesi. Ci si godeva lo spettacolo sperando
che non finisse mai. Su quei bolidi di solito vi erano piloti
importanti, Fangio, Musso, Collins, Behra, Castellotti, von
Trips, Bandini, Dan Gurney, Parkes o altri.. Si vedevano i bolidi
rossi saettare e si sentiva l'odore dolciastro e penetrante
dell'olio bruciato a 9.000 giri. Il pilota negli anni dell'autodromo
era ancora ben visibile, non ancora incastrato, quasi a scomparire,
come nelle monoposto di Formula 1 successive. Coperto solo col
casco a noce e con gli occhiali a elastico, dava colpi ritmati
sul volante nella veloce curva e piegava leggermente la testa
per contrastare l'effetto della forza centrifuga.
Se si era meno fortunati, dopo tanta fatica, si assisteva a
pochi giri di qualche motore, dal rumore stonato e non convincente,
chiaramente fuori fase, che nelle soste ai box, come si vedeva
da lontano, era circondato da persone con fare preoccupato e
poco convinto. Ma si era felici ugualmente. Il gran giro attorno
all'autodromo per vedere i bolidi si era concluso con l'ingresso,
anche se clandestino, nel grande catino che poteva contenere
fino a 50.000 persone, una "piccola Indianapolis"
pur senza curve rialzate e sembrava di vedere Nuvolari, Ascari
o Fangio passarti vicino velocissimi con un rumore assordante.
Forse dovuto al fatto di volere accontentare troppe esigenza
che l'aerautodromo di Modena, compì la propria parabola
nell'arco di poco più di 15 anni, non essendosi rivelato
un vero aereoporto, nè un autodromo dalla pista adeguabile
alla veloce evoluzione tecnica dei bolidi da competizione (come
quello di Monza o di Imola).
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Ferrari,
Chiti e la 246 P
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Regazzoni
collauda la 312B1 |

Borsari
e Surtees
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GP
motociclistico |
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Per
gentile concessione di Giancarlo Benatti
Modelfoxbrianza ringrazia Giancarlo Benatti per la fondamentale
collaborazione.
pagina
pubblicata il 20/5/2004
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