L'impresa
è ardua: raccontare in brevi frasi quella che è
stata la vita di Enzo Ferrari, non è cosa semplice,
data la molteplicità degli eventi e la persona
a cui sono riferiti. Ferrari, un Uomo che ha disegnato
la propria vita fin dalla gioventù, ricevendone
a volte gioie e a volte grandi sofferenze. Di Enzo Ferrari
si è detto tutto e il contrario di tutto per mettere
a fuoco il personaggio: il carattere, le imprese, le vittorie:
insomma la vita irripetibile di un ragazzo che da grande
sognava di essere Ferrari. Sono convinto che la vera storia
di Enzo Ferrari, al di là della stretta cerchia
di persone che l'hanno veramente "vissuto" non
la conosce nessuno, almeno per quanto concerne i risvolti
affettivi e personali che vengono più volte decantati
da scrittori più o meno accreditati. Questo tributo
vuole essere una panoramica delle situazioni che hanno
accompagnato l'esistenza di questo Uomo, un uomo che merita
la "U" maiuscola, per aver dimostrato che anche
partendo dal nulla, con determinazione e passione si possono
fare grandi cose, irripetibili.
Ferrari è sempre stato un convinto nazionalista,
attaccato in modo "feroce" alla sua
terra: l'Emilia e all'Italia, dimostrando sempre fino
alla morte, che vecchi si diventa solo quando i ricordi
prendono il posto dei sogni che per Ferrari iniziarono
all'età di dieci anni, quando a Modena vide la
prima gara automobilistica e lo accompagnarono per tutta
la vita, mantenendolo sempre vitale e creativo anche in
età avanzata.
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La
Famiglia Ferrari |
Enzo
e Alfredo Ferrari |
Un
giovanissimo Enzo Ferrari |
Enzo
e la moglie
Laura Garello |
Ma
perché Enzo Ferrari è diventato Enzo
Ferrari, tenendo fede alla promessa fatta da ragazzi
all'amico d'infanzia Peppino in una calda serata d'estate?
Le motivazioni sono da ricercarsi nel suo carattere tutto
d'un pezzo. A proposito di questo particolare, durante
le celebrazioni del centenario della nascita di Enzo Ferrari
a Modena, Arrigo Levi, figlio dell’Avvocato
Enzo Levi, raccontò un aneddoto molto interessante
sulla vita di Enzo Ferrari, aneddoto raccolto dalle parole
del padre, che scrisse il primo statuto della Scuderia
Ferrari.” Mio padre racconta
Ferrari in un progetto di un libro che era intitolato:
“Sul tema della volontà e la vita
morale". Tra gli altri esempi c’è
quello di Ferrari” dice Levi; “Ho spesso rilevato
gli effetti antitetici prodotti sui singoli da una evento
sfortunato.
Esso determina talvolta l’inizio di una discesa
paurosa, talvolta invece la reazione della volontà
e dell’energia del colpito è tale che le
forze sembrano centuplicarsi, si rilevano le sue qualità
e non soltanto la caduta e l’inizio di una rivincita,
ma sembra che tutti gli errori passati risultino una fonte
di ammaestramento.
Che cosa era successo a Ferrari? L’origine della
sua attività, dice papà, in un primo tempo,
fu decisamente sfortunata. Perduto il padre, giovanissimo,
cedette l’azienda creata dal padre, un’industria
metallurgica lentamente cresciuta da un’iniziale
attività artigiana e si dedicò alle corse
automobilistiche, con successi sportivi, ma con pochi
successi economici e relativa perdita di gran parte del
patrimonio.
“Questo finì sommerso dai debiti nel tentativo
di creare una fabbrica di carrozzeria di automobili, che
produceva buone carrozzerie, ma antieconomiche”.
E qui chiaramente facciamo riferimento alla Carrozzeria
Emilia. Sua madre, la signora Adalgisa, interviene con
il sacrificio anche vendendo dei mobili di casa e i debiti
furono pagati integralmente”.(***)
Dobbiamo anche dire per l'onor del vero, che mentre nel
versante dei "cugini" Maserati, Ernesto e Alberto
Massimino dovevano rispondere direttamente ad Orsi, Ferrari
aveva le mani libere e la sue decisioni erano sue. Queste
sono parole riportate da Gioachino Colombo nel suo libro
"Le origini del mito" e fanno capire benissimo
la linea che poi tenne sempre Ferrari.
Ma cerchiamo di capire il "credo" di Enzo Ferrari.
Ha fatto tremare illustri personaggi: piloti, manager,
responsabili di grandi aziende e di Associazioni legate
al mondo dell'automobile, fino ad avere un peso determinate
nel "nuovo Patto della Concordia" stipulato
nel 1987 che di fatto sostituiva quello del 1981.
Ma anche in questo caso bastò il "ruggito"
di una sua creatura, la Formula Cart, nata appositamente
dalla penna di Gustav Brunner per lo scopo ben preciso
di far credere di "emigrare", nel caso le sue
condizioni non fossero state accolte, negli Stati Uniti
ed abbandonare definitivamente le gare europee.
Resta
il dilemma se il progetto non andò in porto per
la morte improvvisa di Truman, il capo della Truesport
che avrebbe gestito tutta l'operazione "formula cart"
o se Enzo Ferrari fece costruire appositamente la vettura
per intimorire i responsabili della Federazione, cosa
che francamente reputo lontana dal pensiero di Ferrari.
Gli
vennero cuciti addosso come una seconda pelle molti aggettivi:
duro, inflessibile, agitatore di uomini, Drake, Grande
Vecchio e titoli realmente meritati, grazie alla sua caparbietà
e genialità: Cavaliere della Corona d'Italia
nel 1924 - Cavaliere Ufficiale nel
1925 - Commendatore nel 1927
(cariche decadute con la fine della monarchia) - Cavaliere
al merito del Lavoro il 21 dicembre 1952, oltre
alla laurea Honoris Causa in ingegneria meccanica,
conferitagli dall'Università di Bologna il 7 luglio
1960 - Cavaliere di Gran Croce nel 1979
e laurea Honoris Causa in Fisica conferitagli dall'Università
di Modena il 1 febbraio 1988. Si aggiungono poi un'infinità
di altri riconoscimenti italiani ed esteri che hanno portato
Ferrari ad essere uno dei personaggi italiani più
conosciuti nel Mondo. Poteva fare il cantante lirico o
il giornalista sportivo, come più spesso ripetuto
da lui stesso, ma finì per fare prima il corridore
automobilistico, vincendo diverse gare e poi il fulcro
di una realtà che sarebbe divenuta grande e conosciuta
in tutto il Mondo. La Ferrari.
Lui, l'Uomo di Maranello che faceva attendere Sovrani
e Capi di Stato di tutto il Mondo nelle sue proverbiali
"sale d'attesa", accomunati a piloti, che chiamati
appositamente alla sua corte, aspettavano per ore l'ingresso
al suo cospetto. Lui che fece licenziare dopo mille peripezie
un Campione del Mondo come Surtees, motivando il licenziamento
per i noti motivi che gli storici ci hanno tramandato,
con una frase che racchiude in se tutta una filosofia
di vita:" so quello che perdo allontanandolo,
non so cosa perderei se restasse ancora con noi"!
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Enzo Ferrari alla
Parma-Poggio di Berceto |
Ferrari
e il meccanico Conti
alla Targa Florio del 1920 |
Enzo
Ferrari pilota |
Campari,
Ferrari
Nuvolari e Borzacchini |
La
sua abilità nel giostrare gli avvenimenti era unica.
Riusciva ad ottenere il meglio da tecnici e piloti, mettendoli
in competizione tra loro e a volte creando un clima non
proprio disteso, ma sempre per il bene della sua "Scuderia",
bene che si materializzava con le vittorie e l'aumento
del volume produttivo della sua fabbrica.
Ma il tutto faceva parte del suo carattere, del suo credo.
Ferrari era Ferrari. Punto.
Nella Monografia AISA n.97, a pagina 5 c'è una
descrizione sull'idea di partenza del 12 cilindri, che
Ferrari attribuì sempre alla visione di un dodici
cilindri Packard che corse a Indy nel 1914. Questo motore
Ferrari lo rivide nell'immediato dopoguerra, montato nelle
opulente vetture degli americani. Questo qunto scritto
nelle "Briglie del successo", libro scritto
da Ferrari nel 1974. L'assegnazione della progettazione
del dodici cilindri a Gioachino Colombo, può non
essere casuale, in quanto Colombo in Alfa Romeo si occupava
della progettazione del 12 cilindri Alfa. Ma questo Enzo
Ferrari non lo avrebbe e non lo ha mai detto, continuando
a tenere viva l'idea della Packard.
Alcuni piloti l'hanno amato, altri si sono sentiti traditi,
altri ancora maltrattati. Più di una volta gli
hanno rivolto accuse di non essere riconoscente magari
dopo una brillante vittoria.
Molti piloti nelle loro memorie hanno descritto Ferrari
come un uomo difficile da interpretare. Il suo carisma
era palpabile, un vero padrone delle situazioni sia favorevoli
che sfavorevoli che ogni giorno gli si presentavano davanti,
ma che in ogni circostanza, andasse come andasse, ne traeva
sempre qualche beneficio. Pochissime volte si allontanò
dal suo feudo: Maranello. Le "trasferte" più
lunghe le fece per incontrare Pininfarina in terra neutra,
in quel di Tortona e qui gettare le basi per una produzione
di serie con il futuro "sarto" di quasi tutta
la produzione Ferrari, iniziata nel 1952 e per incontrare
Gianni Agnelli a Torino nel 1969.
Amava le sue macchine sopra ogni cosa, affermando in più
occasioni che il pilota era una componente della macchina.
Amava scommettere su piloti non affermati per portarli
alla vittoria e così dimostrare che le sue macchine
erano superiori a tutti e il suo fiuto di talent-scout
aveva visto giusto ancora una volta.
Ma con i suoi collaboratori come solo lui chiamava
gli operai, Ferrari si dimostrò quasi sempre un
padre, pronto ad ascoltare i bisogni degli stessi, forte
del detto da lui coniato:" l'azienda è
composta primo dagli uomini che ci lavorano,
poi dai macchinari ed infine dai muri".
Analizzando il suo pensiero, risulta molto chiaro il posto
ricoperto dai suoi operai e tecnici.
E i suoi collaboratori lo hanno sempre ricambiato con
dedizione al lavoro assoluta, perchè lavorare in
Ferrari e per Ferrari era motivo di orgoglio. Un orgoglio
nazionale.
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Dino
e Enzo Ferrari |
Honoris
Causa a Bologna |
Autodromo
di Monza |
Il
Commendatore
alla guida |
La sua lunga vita è sempre
stata piena di fatti poco comprensibili all'osservatore
di turno, altalenando soddisfazioni con amari conti da
pagare alla vita. Fu così quando perse suo figlio
Dino nel 1956, deluso dalla vita pronunciò queste
parole:" mi ha deluso l'impotenza a difendere
la vita di mio figlio, che mi è stato
strappato, giorno dopo giorno, per 24 anni";
o quando qualche suo pilota moriva in gara. Venne accusato
dopo l'incidente di Portago alla Mille Miglia del 1957,
incidente di cui solo dopo quattro anni (26 luglio 1961)
venne scagionato per non aver commesso il fatto, discolpando
lui e le sue rosse macchine da una strage non voluta.
L'Osservatore Romano nel 1958 lo definì:"un
Saturno che divora i propri figli" dopo la morte
di Luigi Musso avvenuta a Reims il 6 luglio dello stesso
anno.
Tutti questi lutti lo provarono seriamente, toccando i
suoi sentimenti al punto che: " al di là
dei valori affettivi quando muore un pilota, ritengo un
mio imperativo dovere, cercare di sapere se l'incidente
è stato causato da ragioni tecniche. Sento profondamente
la responsabilità che mi assumo quando affido la
mia macchina a un pilota e la considero sicura, nei limiti
della perfettibilità umana".
Fu così quando battè per la prima volta
a Silverstone nel 1951 l'Alfa Romeo o quando prima ancora,
nel 1947, il "caro" Sommer portò alla
vittoria una sua creatura al Parco del Valentino nel Gran
Premio Città di Torino; parco che quasi trent'anni
prima lo vide piangere, in mezzo alla neve, reduce sconsolato
e senza lavoro.
Dopo la morte di Dino, non frequentò più
gli autodromi se non quello di Modena e di Monza (quest'ultimo
fino alla fine degli anni '60) e l'unico suo contatto
con le gare fu la televisione e il telefono a cui i Direttori
Sportivi di turno, si dovevano attaccare per riferire
ogni minimo particolare della gara: anche a migliaia di
chilometri di distanza l'unico vero regista era sempre
lui.
Tutte situazioni che temprano un uomo fino a farlo diventare
coriaceo e refrattario ai fatti della vita.
Ma
lui ha sempre tirato diritto per la sua strada, sicuro
dei suoi sentimenti per l'automobile e per la sua azienda.
Amava il suo lavoro, dedicandone anche le ferie passate
regolarmente a Maranello, fino a far sorgere qualche incertezza
nel tecnico o dirigente di turno che "osava"
chiederne un periodo.
Non
viaggia in aereo, neppure in treno e non usa nemmeno l'ascensore,
tutte cose che non fanno e non faranno mai per lui.
Per
incontrarlo si doveva andare a Maranello e fare almeno
un'ora di anticamera. Quella non mancava quasi mai, esclusi
rari casi.
Avanzando
negli anni, sostituì le lenti chiare degli occhiali
con lenti scure, aumentando così la sua già
spessa inpenetrabilità, assumendo un ruolo di vantaggio
psicologico verso il suo interlocutore: scrutava ma non
poteva essere scrutato. E le sfuriate in quel dialetto
modenese che facevano tramare muri, arredi e tecnici o
piloti di turno?. Di questo ne sapeva qualcosa il compiànto
ingegnere Aurelio Lampredi, che osò contraddirlo
per la realizzazione di un motore
due cilindri. Ma per Ferrari e la Ferrari tutti erano
pronti a fare carte false pur di lavorare, di correre
su quelle macchine rosse e
scrivere il proprio nome negli Albi d'Oro dei Gran Premi
Internazionali.
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Enzo
Ferrari in
conferenza stampa |
Cooper,
Chapman,
Ferrari e Von Hanstein |
Enzo Ferrari con Blitz, soprannominato "professore" |
Ferrari
nel suo ufficio |
Si
dice che Ferrari non amasse troppo i giornalisti: (il
primo "scontro" con un giornalista l'ebbe in
occasione del ritiro, ancora misterioso, prima del Gran
Premio d'Europa a Lione nel 1924 - leggasi Canestrini).
Anni dopo (1976) scrisse Il Flobert, rispondendo
così, anche a distanza nel tempo a chi gli aveva
mosso accuse secondo lui ingiuste o fuori luogo. Uomo
di grandissima memoria, si preparava informandosi e pianificando
l'incontro che avrebbe avuto con questo o quel personaggio.
Amante delle conferenze stampa, sembrava si divertisse
ad ascoltare e poi "silurare" i suoi interlocutori,
lasciandoli a volte senza diritto di replica, tanta era
la sua forza nel descrivere fatti e dare risposte. Assertore
del dodici cilindri, lo volle a tutti i costi. Pioniere
di un'era, lo fece progettare e costruire in un'epoca
nella quale qualche italiano marciava con un quattro cilindri
e il resto, la maggioranza a piedi, in bicicletta o al
massimo in Lambretta. Trasformò dei bravi contadini
in operai specializzati tramite una scuola professionale
da lui creata a Maranello e che ancora oggi è un
fiore all'occhiello e base per i futuri tecnici che entreranno
a far parte della "fabbrica", come la chiamava
lui.
L'artigiano, come amava definirsi, ebbe il coraggio
nel 1963 di rompere un accordo quasi stipulato con il
colosso Ford, rimandando a casa i loro emissari,
pur di non dover sottostare a qualcuno per deliberare
le spese di gestione occorrenti. (*)
"Un colpo da maestro lo mise a segno qualche anno
prima, quando acquistò la sede della Ford a Bologna;
colpo studiato nei minimi dettagli e dai ritorni pubblicitari
di altissimo livello. Un piccolo industriale che compera
la sede italiana della seconda azienda produttrice di
automobili al Mondo! I soliti "ben informati",
fanno circolare la voce che Ferrari lascerà Modena
per trasferirsi a Bologna, ovviamente nella sede appena
acquistata. Ferrari ride tra se e lascia dire. Poco tempo
dopo si presenta a Modena un inviato del Rettore dell'Università
di Bologna, proponendo a Ferrari la laurea honoris causa.
Astuto com'era, Ferrari si prodiga per offrire una somma
di denaro all'Ateneo bolognese, atta alle future ricerche
universitarie. Poco dopo il palazzo di Bologna venne venduto
ma Ferrari prese i classici due piccioni con una fava:
laurea e basi per i futuri accordi con la Ford" (/*).
Ritentò l'impresa di accordi industriali, questa
volta con la FIAT che, (**)
"dopo i primi accordi tramite l'Ing. Gaudenzio Bono
del 1965 con la mediazione del Comm. Francesco Bellicardi
capo della Weber di Bologna, portarono all'accordo definitivo
del 18 giugno 1969, ufficializzato il 21 di giugno. L'accordo
stabiliva la progettazione di un motore V6 di 65°
(Dino), che la Fiat avrebbe poi messo in produzione di
serie, permettendo alla Ferrari di ricavarne a sua volta
un motore di Formula 2. Dopo l'incontro con l'Avv.Agnelli,
la Fiat acquistò subito il 50% del pacchetto azionario,
con diritto di prelazione per il rilevamento del restante
40% alla morte dello stesso Ferrari. L'ultimo 10% delle
azioni lo mantenne Piero Ferrari, che ora conserva anche
la carica di Vicepresidente". (/**)
Enzo Ferrari rimase Presidente fino al 19 marzo 1977 e
conservò poi la direzione della Gestione Sportiva.
Lui stesso ammise che dopo l'accordo si sentiva sereno
e sicuro di avere dato un'avvenire alla sua fabbrica e
ai suoi operai.
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Enzo
e Piero Ferrari
Patto della Concordia del 1981 |
Ferrari
Dottore in Fisica - 1988 |
La
cena in fabbrica
per il 90° compleanno - 1988 |
Lungimirante, "inventò" fin dai tempi
della Scuderia Ferrari la sponsorizzazione tecnica sui
suoi mezzi di trasporto, ricavandone un beneficio economico
non indifferente anche in termini d'immagine. La maggior
parte della case automobilistiche pagavano la pubblicità
sui giornali. Ferrari, ogni lunedì mattina, trovava
foto e articoli delle sue vetture :il tutto gratuitamente.
Terminando questo breve ma sentito tributo a Enzo Ferrari,
non resta che predere atto che Ferrari è stato
unico nel suo genere: nell'affrontare la vita, nel lavoro
quotidiano e nel gestire gli uomini. In questi anni di
vittorie e di Campionati del Mondo vinti dalla Ferrari,
grazie anche all'apporto determinante del Presidente Luca
Cordero di Montezemolo, di Michael Schumacher, Rubens
Barrichello e di tutto lo staff Ferrari, ritornano alla
mente le imprese di questo leggendario Uomo che si può
definire senza ombra di dubbio e senza retorica, per tutto
quello che ha fatto per la sua azienda e per il nostro
paese: un orgoglio tutto Italiano.
MfB
(*)Tratto da : Ferrari
l'Unico di Gino Rancati - Giorgio Nada Editore
- 1988
(**) Tratto da: Maranello Ferrari e ...la sua
gente di Gianni Rogliatti -
Puntografico S.p.A.
(***)
Tratto dalla Conferenza AISA nel centenario
della nascita di Enzo Ferrari - Relatore Adolfo
Orsi - Modena 1988
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