Armando
Spatafora in divisa nel 1962 (fotografia tratta da: Il Poliziotto con
la Ferrari)
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alle sezioni della pagina |
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“Se
vai in giro a tarda sera, occhio sempre alla pantera! Ma se
esci a tarda ora, occhio amico a Spatafora” (consiglio
notturno da “Il tempo” 4 ottobre 1964) |
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Non
capita tutti i giorni di vedere una Ferrari, una 250 GT/E 2+2
nera della "Mobile", scendere una scalinata all’inseguimento
di un’auto con a bordo dei malviventi. Questa storia e
questo diorama raccontano e raffigurano quello che avvenne in
una serata romana del marzo 1964.
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Per
calarci completamente nell’opera realizzata, si deve conoscere
prima il personaggio, che con le sue gesta ha alimentato l’alone
di leggenda che viene tramandato ancora ai giorni nostri, leggenda
che, come tutte le leggende, non si ha certezza dell’accaduto,
in quanto il Ministero degli Interni non ha mai confermato ne
smentito questo epico episodio. Siamo a Roma in una sera del
marzo 1964, sono passati ormai 48 anni dal fatto narrato in
questa pagina e compiuto dal mitico Maresciallo Armando Spatafora,
all’epoca dei fatti ancora Brigadiere, poliziotto tutto
d’un pezzo, vecchio stampo. E’ d’obbligo prima
di calarci in questo affascinante racconto, conoscere chi era
“l’attore” principale di questa storia metropolitana.
Armando Spatafora nasce a Siracusa nel 1927.
Al termine del servizio militare svolto in Aeronautica, Spatafora
presenta domanda per entrare nel Corpo delle Guardie di Pubblica
Sicurezza. La domanda viene accolta e nel novembre del 1950,
“Armandino” è a Roma pronto ad agire. Subito
dopo viene trasferito a Foggia, poi ancora a Roma per dare inizio
alla sua storia ed al suo Mito. Narra la figlia Carmen nel libro
da lei scritto “Il Poliziotto con la Ferrari” e
presentato a Roma in Campidoglio nel 2009, che Spatafora nel
1955 venne nominato “guardia effettiva” e in seguito
nel 1957, venne definito “ottimo” nello stato di
servizio, quindi papabile alla nomina di Brigadiere, domanda
che venne presentata nel 1960 e accettata nel 1961 a seguito
di “brillanti operazioni”. Nell’occasione
citiamo un passaggio dal libro “Il Poliziotto
in Ferrari” per capire al meglio i motivi di
questo avanzamento di grado e il carattere di Armando Spatafora,
tracciato dal Comandante del Nucleo di Guardie di Ps di Roma:
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Spatafora
durante un servizio di pattuglia con la 250 GT/E (img tratta
da: Il Poliziotto con la Ferrari)
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(cit.
pag 27): “ I numerosissimi servizi
ai quali ha preso parte, sempre interessato e attento, la infinita
serie di pattuglioni notturni, sempre alla guida della sua Alfa
1900, hanno fruttato al militare un bagaglio di esperienza e
una particolare sensibilità che gli permettono di intuire
o riconoscere da piccole sfumature, la presenza del pregiudicato.
Numerosi pregiudicati poi, sono conosciuti e riconosciuti a
colpo d’occhio dallo Spatafora che sembra fissarsi in
mente nomi e fisionomie con una facilità veramente notevole”.
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Quindi
un uomo pieno di passione e di rispetto per il prossimo, un
vero poliziotto che negli anni '60 era considerato da tutti
un antagonista della "mala" romana
(cit.Carmen Spatafora) |
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Riproponiamo
questo bellissimo articolo di Gianmarco Calore,
in occasione della pubblicazione del libro “Il
Poliziotto con la Ferrari” scritto dalla figlia
del Maresciallo Armando Spatafora, Carmen e tratto da www.Polizianellastoria.it
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Armando
Spatafora e Mario Esposito durante un "pattuglione"
notturno (img.
tratta da: Il Poliziotto con la Ferrari)
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“Ci
sono tantissime leggende metropolitane legate al mondo della
nostra Polizia. Alcune sono vere, altre sono frutto di rimaneggiamenti
e rivisitazioni nelle quali ciascuno ha aggiunto un po' del
suo, altre ancora sono autentiche "bufale".
Ma tutte - dico, tutte - contribuiscono ad accrescere il fascino
e l'ammirazione che i Cittadini italiani perbene (più
qualche raro delinquente con un codice d'onore ancora degno
di rispetto) hanno sempre nutrito verso il "Panterone".
Ogni storia ha avuto per protagonisti
Poliziotti e Cittadini, guardie e ladri, il Bene e il Male
visti in uno spaccato di vita sempre diverso come sempre diverso
è ciascun intervento fatto dalla Volante ogni giorno.
Quella di cui sto per parlare è una storia conosciuta
da molti. Una storia che è stata raccontata in mille
modi diversi, con mille finali diversi. Una storia che in
uno dei suoi risvolti più rocamboleschi non ha mai
trovato una conferma ufficiale da parte del Ministero e che
quindi si è sempre prestata a una pluralità
di versioni che oggi non possono più essere avvalorate
o smentite.
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Sono
passati quasi cinquant'anni da quei giorni movimentatissimi
dei primi anni '60 che vedevano la Polizia della nostra Capitale
in prima linea contro una criminalità sempre più
arrogante e con sempre meno scrupoli. Gli anni Cinquanta erano
passati da poco, ma tutto stava cambiando rapidamente. Troppo
rapidamente. Ad un periodo di ricostruzione materiale e sociale
post-bellica, che vedeva ancora gente vivere accampata sotto
i ponti, in androni fatiscenti, i più fortunati dentro
i vagoni ferroviari in disuso stava subentrando un periodo fatto
di benessere e di rilancio economico. La radio cantava "Se
potessi avere mille lire al mese...", le carte annonarie
stavano diventando un ricordo, insomma, la gente stava cominciando
a credere sul serio alla rinascita. Anche il modo di fare Polizia
si stava adeguando a queste mutate esigenze sociali: non bastavano
più due guardie appiedate o in bicicletta per garantire
sicurezza; anche i cosiddetti "blocchi volanti" stavano
diventando anacronistici, con quei gipponi rossi carichi di
militari appostati nei punti nevralgici della città,
con il capopattuglia che ogni mezzora doveva telefonare al comando
per sapere se c'erano novità. Le metropoli stavano brulicando
di nuova vita, con varia umanità che arrivava da ogni
parte della Penisola in cerca di lavoro: Milano, Torino, Bologna...
la stessa Roma.... Trovavi appartamenti occupati da trenta,
quaranta persone: mai le stesse. Amici, parenti, amici dei parenti....
un ginepraio difficile se non impossibile da districare. Anche
perchè dal Sud tra tanta brava gente stava venendo sù
anche la delinquenza grazie anche ai provvedimenti di confino
attuati per stroncare i fenomeni mafiosi del Meridione.
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Armando Spatafora (secondo da sinistra)
con un gruppo di colleghi (img. tratta dalla Rete)
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Roma
nel 1960 aveva una volante.
Sì, avete letto bene: una volante per tutta la Capitale.
Era costituita da una rombante Alfa Romeo 1900 blindata di colore
nero. Perchè all'epoca nere erano tutte le macchine della
Questura; rosse invece quelle della Stradale e del Celere. Era
una macchina per quei tempi avveniristica: motore super pompato,
cristalli rinforzati, tendine passaruota antiproiettili, tettuccio
apribile nella parte posteriore per consentire al gregario di
aprire il fuoco con il MAB stando in piedi.... L'auto stazionava
prevalentemente in Questura, pronta ad intervenire su chiamata
diretta. Non era come oggi, in cui la Volante fa di tutto tranne
forse che fare proprio la volante: quando usciva il "Panterone",
tutti sapevano che erano rogne pesanti. Fino alla fine degli
Anni Cinquanta il "Panterone" aveva dato filo da torcere
ai primi criminali: inseguimenti, sparatorie, sganassoni....
Sì, perchè all'epoca la Polizia non andava tanto
per il sottile. All'interno della Squadra Mobile della città
capitolina si narra di un tabellone affisso dai Poliziotti e
sul quale quando smontavano i vari turni segnavano il numero
di proiettili esplosi: alla fine del mese chi perdeva pagava
una cena al turno vincitore. Questa però è un'altra
storia, un'altra leggenda metropolitana che Roma si contende
con Milano, dove pure la Polizia sparava a rotta di collo: anche
qui, però, conferme ufficiali non ce ne sono, al di là
di qualche ammissione sussurrata a mezza bocca da qualche Collega
pensionato.
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Chi
faceva volante a Roma a quel tempo era inquadrato in seno alla
Squadra Mobile, una sezione della questura composta da Poliziotti
con le controsfere: gente che ne aveva viste di tutti i colori,
con gavetta fatta "a rimorchio" del brigadiere più
vecchio, quasi sempre a piedi e in estenuanti "porta a
porta" per identificare gli occupanti dei palazzi o altre
volte a chiacchierare per ore con fruttivendoli, pizzichettai,
giornalai e altri "indigeni stanziali" ben lieti di
riferire che Peppino il Lungo si era fatto vedere al bar con
Gennaro Capocece, sì, proprio quello della rapina dell'anno
scorso e che sicuro era tornato sul circuito a fare danni. La
Polizia aveva campato per anni sul sistema degli informatori,
delle "soffiate" tutte da verificare con estenuanti
appostamenti che spesso non portavano a nulla se non ai geloni
ai piedi: un sistema che però aveva dato i suoi frutti
a chi li aveva saputi aspettare e che mai si sarebbe potuto
credere capace di entrare in crisi. Tuttavia fu così.
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Una bella immagine della Ferrari 250
GT/E 2+2 della Mobile romana (img. tratta dalla Rete)
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Dal
canto suo, la criminalità metropolitana si era evoluta
anche e soprattutto nei metodi di autoprotezione. Aveva per
prima cosa lavato i suoi panni sporchi in famiglia: vale a dire,
ogni "infame" era stato fatto sparire in modo più
o meno eclatante. Parlare con una guardia era diventato pericoloso
e le bocche si erano come per magia cucite: nessuno ricordava
più nulla, il brigadiere non trovava più il suo
caffè corretto all'informazione al solito bar, il fiume
in piena delle varie "gole profonde" si era improvvisamente
inaridito... anche perchè molte di quelle "gole
profonde" erano nel frattempo diventate "gole tagliate"....
In secondo luogo, grazie ad una disponibilità pressochè
illimitata di fondi e all'evoluzione della tecnologia, non c'era
più bisogno di farsi vedere tanto in piazza quando si
voleva organizzare il colpo "gobbo": solla scorta
dell'esperienza sicula, la criminalità si era organizzata
gerarchicamente in "famiglie" che si erano spartite
il territorio senza pestarsi troppo i piedi. Tutti dovevano
mangiare, non era conveniente spararsi tra di loro quando ovunque
c'erano mazzette di denaro e gioielli da rapinare. Ecco allora
che la criminalità "da sopravvivenza" che quell'unica
volante nera era abituata a contrastare si tramutò ben
presto in una criminalità di stampo meramente voluttuario:
insomma, non si rapinava più per mangiare ma per arricchirsi.
Di conseguenza, il livello di pericolosità di questi
soggetti aumentò in modo incontrollabile perchè
non si guardava più in faccia a nessuno quand'era ora
di dare voce alle armi. |
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La
Polizia si trovò spiazzata. Indagini che non progredivano,
risultati che calavano, incapacità di dare risposte rassicuranti
ai privati cittadini sempre più in balìa di bande
di predoni (la "banda Cavallero" giusto per fare un
nome) per i quali non faceva differenza tra un direttore di
banca vivo o morto. Basti pensare che la prima rapina ad un
furgone portavalori avvenne il 27 febbraio 1958 alle porte di
Milano, con una sparatoria da far west in pieno giorno e con
la Polizia sbigottita di fronte a tale protervia criminale:
bottino, 114 milioni dell'epoca. A Roma iniziò a serpeggiare
grande malumore tra i Poliziotti "cani da strada":
il loro fiuto sembrava affetto da cronico raffreddore e, oltre
a non battere un beneamato chiodo, alcuni di essi per strada
iniziarono pure a morirci. |
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Quando
la marea montante del disappunto poliziesco raggiunse i limiti
di guardia, l'allora Capo della Polizia Angelo Vicari scese
in campo ad incontrare i suoi uomini.
12 gennaio 1962, una mattina piovosa resa ancora più
tetra dall'umore degli Uomini della "Mobile" romana.
Sono stati tutti convocati in uno stanzone al primo piano. Luci
giallastre diffuse dalle lampadine a muro rese ancora più
lattiginose dalle sigarette fumate senza sosta; un brusìo
continuo interrotto solo da un colpo di tosse o da uno starnuto.
Poi improvvisamente il silenzio: entra il Capo. Tutti si alzano
in piedi. Non è l'ennesimo discorso retorico, quello
di Vicari: è una discussione a doppio senso con i suoi
uomini, come si potrebbe fare attorno ad una tavola imbandita
la domenica a pranzo. Rispettosamente ma con fermezza, gli uomini
della "Mobile" insistono col rappresentare che i mezzi
a disposizione della Questura sono ormai obsoleti, superati,
antiquati.... Sembra di sentire i discorsi di oggi, vero? E
le risposte? Anche quelle, le stesse: non ci sono fondi, il
ministero ha altre priorità, e via discorrendo. Fino
a quando il Capo, ormai messo alle corde da sbirri che il loro
mestiere lo sanno fare fin troppo bene, esasperato dalle loro
insistenti richieste sbotta: "Ma insomma, di cosa avete
bisogno?"
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La Mobile romana con l'istruttore Ferrari Roberto Lippi
a Modena per il corso di specializzazione di "guida veloce"
(img. tratta dalla Rete)
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In
fondo alla stanza c'è un uomo. E' un brigadiere della
"Mobile", un uomo esile, mingherlino ma dagli occhi
vispi, attenti. Un sottufficiale conosciuto, rispettato anche
dai criminali che ha arrestato a decine. Fino a quel momento
è stato zitto zitto ad ascoltare, lasciando che i più
sanguigni dei colleghi si scannassero. Termina la sua sigaretta
e si alza in piedi, facendo cigolare la sedia:
"Di cosa abbiamo bisogno, eccellenza? Di una Ferrari!"
Cala il gelo in quella stanza surriscaldata. Mai nessuno aveva
osato rivolgersi con tale fermezza e arroganza ad un Prefetto,
per di più Capo della Polizia. Tutti si girano e lo guardano
a metà tra la commiserazione per la sua sorte futura
e il rispetto. "Come si chiama, lei?" tuona Vicari.
E lui, sempre guardandolo negli occhi: "Sono il brigadiere
Armando Spatafora". Vicari lo guarda per qualche secondo,
soppesandone l'uomo oltre che il poliziotto e gli risponde con
un'unica frase: "L'avrà!"
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Fino
a qui la storia. D'ora in avanti, la leggenda.
Neanche
tre mesi dopo dagli stabilimenti Ferrari di Maranello arriva
a Roma un esemplare di uno splendido colore nero. E' una Ferrari
250 GTE carrozzata Pininfarina: sulle porte, la dicitura "Squadra
Mobile"; sul passaruota anteriore, il neonato simbolo della
Pantera. Insomma, la volante di tutte le volanti: un "mostro"
in grado di toccare i 280 km/h. Ed è nera: Pantera tra
le Pantere, con un bel lampeggiante sul tettuccio. Assieme ad
altri tre colleghi (Carlo Annichiarico, Dalmatio De Angelis
e Giuseppe Savi) Armando Spatafora venne spedito a Maranello
per frequentare il corso di guida per un bolide da pista, più
che da strada. Vi arrivano dopo 6 ore di viaggio a bordo della
Fiat 500 di Armando. Ma lui è un Poliziotto che sa già
guidare bene: a Maranello gli affinano la tecnica e lo rispediscono
a Roma. Diventa consegnatario di quella macchina assieme a quei
tre colleghi, unici autorizzati a guidarla. E per la criminalità
la musica cambia. Come cambia la fama della Polizia romana:
inseguimenti a rotta di collo, ma stavolta la macchina non si
lascia seminare. Via Veneto, via Nomentana, sotto San Pietro
("Ma con le sirene spente, per non svegliare il Papa...").
Arresti rocamboleschi, con i fotografi che alternavano quegli
scatti a quelli dei VIP della "dolce vita".
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L'Alfa
Romeo 1900 in dotazione alla Questura di Roma
(img.
tratta dalla Rete)
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E
poi, il mito. Di esso esistono tante versioni. Forse questa
è la più veritiera.
E' una notte di marzo del 1964. "Armandino" è
in giro di pattuglia assieme ad un giovane collega. Sono notti
da brivido, fatte di rapine e furti nelle case. Ci sono due
"merli" da catturare: uno si chiama "lo Zoppo",
l'altro "il Pennellone". Da anni sono la croce e la
delizia di tutti i Poliziotti capitolini: sono due ladri d'auto,
soprattutto sportive; ma sono anche i piloti più richiesti
dalla criminalità quando c'è da fare un "colpo"
veloce e pulito. Chi ha provato a mettere loro il sale sulla
coda è finito contro un muro o - alla meglio - dentro
un fosso. Armando conosce i suoi "polli": sa che prediligono
il centro storico di Roma perchè riescono a guidare tra
quei vicoli a 100 all'ora senza colpo ferire e senza auto strisciare.
Colosseo, i Fori, piazza Venezia, poi sù verso la sinagoga
e da lì al Pantheon. La città è deserta,
il collega sbadiglia.... Poi, improvvisamente, ecco un'Alfa
2500 rossa "tagliare" a cannone verso piazza Navona.
Parte l'inseguimento tra stridore di gomme, controsterzi, freni
a mano, derapate. La canaglia sa il fatto suo, Armandino riconosce
il "tocco" inconfondibile dello "Zoppo".
Ma anche lo Zoppo capisce di non avere a che fare con uno sbirro
qualunque: quello non lo molla di un millimetro. Le prova tutte,
lo Zoppo: cerca di farsi tamponare, cerca di fare a sportellate,
a ponte Milvio si arrampica perfino su un marciapiede. Ma l'altro
è sempre lì, con quella sirena che lacera l'aria
e che si fa sempre più vicina. Fino a Trinità
dei Monti. Qui, si dice che entrambe le macchine passarono su
due ruote sopra un paracarro che ostruiva la strada. Vero o
no, sta di fatto che proprio sulla scalinata lo Zoppo se la
gioca: giù per i gradini con auto e tutto, vediamo se
mi segui fin qui! E Armandino? Giù anche lui, con una
Ferrari che neanche in una vita sarebbe riuscito mai a comprarsi!
Si fanno tutta la scalinata di Trinità dei Monti e alla
fine, mentre l'Alfa si trova con 3 cerchioni spaccati, la coppa
dell'olio crepata e fumo che esce da tutte le parti, la Ferrari
pure scalcagnata gli è addosso. In un baleno lo Zoppo
si trova coi ceppi ai polsi: "Brigadiè, ammazza
come corri!"
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"Il
Poliziotto con la Ferrari" di Carmen Spatafora
- Rubettino Editore 2010
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la presentazione del libro
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Di
questa storia esistono tante versioni. Ognuno ci ha messo del
suo proprio perchè il Ministero non ha mai confermato
l'evento. Ma non lo ha neanche mai smentito. Di sicuro c'è
solo che alla fine del marzo 1964 la Ferrari 250 GTE è
di nuovo a Maranello, ufficialmente per "tagliando".
Ufficiosamente, per sostituzione di una balestra, delle quattro
gomme e della scatola del cambio......
Armando Spatafora divenne poi maresciallo, quindi andò
in pensione. Terminò i suoi giorni senza clamore, mi
piace pensare mentre si gustava ancora la scena della scalinata
di Trinità dei Monti in privata beatitudine, con quell'occhietto
vispo che lo fece conoscere alla criminalità con il soprannome
di "Lince".
Di quei quattro moschettieri della "Mobile" non so
se ne è rimasto qualcuno ancora in vita. Se sì,
mi auguro che oggi sia indulgente verso questa povera Pantera
azzoppata che sta trascinandosi per le strade d'Italia. Un'Italia
così diversa da quella che li vide protagonisti 45 anni
fa.
Oggi quella Ferrari - sì, proprio quella! - fa bella
mostra di sè al Museo delle Auto Storiche della Polizia.
Spesso viene portata in giro per l'Italia e ammirata da generazioni
di Italiani che magari non sanno di cosa è stata capace
nei suoi anni d'oro. Quando la Polizia era LA Polizia.”
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Poliziotto
Sprint - Il trailer della discesa dalla scalinata di
Trinità dei Monti
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Dipinto
di Trinità dei Monti |
Vista
scalinata
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Fotografie
Old Time
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Ancora
alla metà del '600 l'attuale Piazza di Spagna non era
altro che la somma di due distinte piazze di forma triangolare,
ognuna con la propria autonomia. Anche il nome era differente
e rispecchiava i differenti punti di vista che si affacciavano
sullo slargo: da una parte stava Piazza di Spagna, all'ombra
della sede dell'ambasciata spagnola, dall'altra Piazza di Francia,
sede dell'ambasciata francese. Anche così si fronteggiavano
le due potenze rivali.
La presenza delle due ambasciate conferiva importanza alla sede,
contribuendo enormemente ad accrescere la fama di questa parte
a Roma, anche quale centro residenziale e turistico, soprattutto
per i viaggiatori stranieri.
Lungo la direttrice di Via dei Condotti, sullo sfondo della
piazza, si stagliava la Chiesa della Trinità, unita allo
spiazzo sottostante solamente dalla fontana della Barcaccia,
opera del Bernini, ma le due realtà risultavano entità
estranee, totalmente scollegate fra loro. Il collegamento fra
la chiesa e la piazza, allo stato attuale, era garantito solamente
da una coppia di scale alberate molto ripide, scale che costituivano
più una frattura che un legame, dovuta essenzialmente
ad un forte dislivello.
Il primo ad ideare una scala monumentale che sostituisse l'accesso
alla Chiesa della Trinità, fu il cardinale Mazzarino,
che nel 1660 incaricò l'abate Elpidio Benedetti di ricevere
i migliori progetti dei più valenti architetti romani,
affinché realizzassero una magnifica costruzione, per
la quale metteva a disposizione una forte somma di denaro.
In questa epoca, nonostante una predilezione per l'arte del
Bernini, finì per proporre se stesso in qualità
di progettista.
Morto il cardinale Mazzarino, l'impegno per la realizzazione
della scalinata passò a Stefano Guaffer, un membro dell'ambasciata
francese. Purtroppo, dopo aver lasciato una cospicua eredità
ai Minimi francesi, con il vincolo di usare la somma per la
realizzazione della scalinata, morì, seguito a distanza
di pochi mesi dal cardinale Mazzarino.
Per oltre sessant'anni le sue volontà rimasero solo sulla
carta.
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Ai
piedi della scalinata |
Fotografia
anno 1962 |
Fotografie
Old Time |
Babington's
The Room |
Targa
dedicata
a John Keats |
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Due prospettive, una scala
Fu Clemente XI a spingere per la realizzazione della scalinata,
obbligando i Minimi a mantenere l'impegno di costruire la via
d'accesso utilizzando il lascito ricevuto.
Durante gli anni che vanno dal 1717 al 1720 gli architetti Alessandro
Specchi, Francesco De Sanctis, Alessandro Gaulli, Francesco
Cipriani, proposero i loro progetti. Innocenzo XIII scelse il
progetto di Francesco De Sanctis, assecondando la volontà
dei Minimi che premevano affinché la scelta ricadesse
su di un loro architetto.
Il progetto del De Sanctis, architetto italiano- (Roma, 1679
– 1731) deve molto ai disegni realizzati dallo Specchi,
pur prefigurando con grande originalità la soluzione
definitiva. La sensibilità artistica del De Sanctis si
evidenzia soprattutto nella concezione priva di eccessivi razionalismi
e aperta alle linee morbide e al gioco.
Le linee seguite dall'architetto nella fase di progettazione
sono ampiamente spiegate dal De Sanctis nella sua relazione.
Una delle principali preoccupazioni fu quella di realizzare
un luogo aperto, scoperto da ogni lato, in modo tale che anche
dal basso fosse facilmente visibile la sommità della
scala. Ciò è dovuto a motivi di ordine pubblico,
poiché una delle necessità fondamentali era quella
di evitare la creazione di luoghi coperti o nascosti in modo
tale da evitare gli inconvenienti e oscenità varie cui
i Padri del Convento erano abituati.
La ripartizione soddisfa invece al contempo esigenze di ordine
pratico ed ideologico, assecondando il titolo della chiesa,
la Trinità. Le rampe sono infatti suddivise in tre scale
centrali, separate da sedili, e ciascuna delle tre scale è
a sua volta divisa in tre rampe ognuna composta da tredici gradini.
Nel mezzo le rampe si unificano in uno scalone solo a formare
una nobile piazza, elevata e scoperta, con altri sedili ed un
grande obelisco.
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Keats
Shelley
Memorial House |
Veduta
aerea |
La
Barcaccia e il
complesso di Trinità |
Scalinata |
Veduta |
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Fra gli elementi previsti dal De Sanctis, ma mai realizzati,
sono da segnalare una doppia fila di alberi ai lati dello scalone,
in modo tale da offrire una visione più armoniosa e un
riparo dalla canicola estiva. Alternate agli alberi avrebbero
dovuto trovare posto statue e sculture e altri ornamenti da
distribuire in vari luoghi.
Il vero significato della scala realizzata da Francesco De Sanctis
è da ricercarsi nella volontà dell'architetto
di costruire un organismo destinato non solo al passaggio, ma
anche alla circolazione e alla sosta delle persone, pensando
movimenti e spostamenti all'interno di una cornice che consenta
tali attività.
Il maggior merito tecnico che può essere ascritto alla
genialità del De Sanctis consiste nella grande abilità
di regista, grazie alla quale è riuscito a rendere unitari
una serie di elementi fra loro asimmetrici, irregolari ed eterogenei.
La mirabile sintesi è dovuta all'effetto illusionistico
ottenuto con una sapiente strutturazione dello spazio, attraverso
le serie dei gradini, le pause misurate dei ripiani, l'alternanza
di piani concavi e convessi.
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Trinità
dei Monti
Alessandro Specchi |
Piazza
di Spagna
Incisione G.B.Piranesi |
Trinità
dei Monti
De Rossi
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Trinità
dei Monti
De Sanctis |
Trinità
dei Monti
Parini |
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La difficoltà principale risiedeva nella mancanza di
simmetria fra l'asse della facciata della Trinità e la
prospettiva ottica naturale fornita da via dei Condotti.
La soluzione prospettica ideata dal De Sanctis obbliga lo spettatore
a soffermarsi ora sull'uno, ora sull'altra prospettiva, senza
imporre alcuna scelta, riassumendo le contraddizioni e accogliendole
senza soluzioni rigide che escludessero l'una o l'altra visuale.
Con la scalinata di Trinità dei Monti l'architettura
barocca guadagna un monumento essenziale apprezzato in tutto
il suo splendore per la chiarezza e la profonda visione che
lo anima”.
Il tratto finale della scalinata è stretto dai due palazzotti:
quello di destra, dimora dei poeti inglesi Keats e Shelly, l'altro,
a sinistra, il Babington,s Tea Room, prima sala da tè
di Roma nata per iniziativa di due sorelle inglesi.
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"Un poliziotto con la Ferrari". La
fantasia galoppa, si mettono in moto meccanismi che riportano
alla ricerca di documentazione ad anni di distanza dal fatto
avvenuto. Per fortuna mi viene incontro la D.ssa Carmen
Spatafora, figlia del celeberrimo Maresciallo.
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Posizionamento
delle sezioni
palazzine laterali scalinata |
Posizionamento
scalinata |
Realizzazione
facciata palazzina |
Realizzazione
scalinata |
Scalinata
finita |
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Con il suo libro “Il Poliziotto con la Ferrari”
descrive con dovizia di particolari la vita e le gesta di Armando
Spatafora, “attore” principale del diorama qui presentato.
Tutta la progettazione ha riscontrato notevoli difficoltà,
in quanto i disegni operativi di Trinità dei Monti e
dell’annessa scalinata, scenario naturale dell’impresa
di Spatafora, non sono stati di facile reperimento. Dopo aver
chiesto a vari Enti Statali e al Comune di Roma i disegni operativi,
ovviamente non trovati, non mi sono perso d’animo, e come
per gli altri diorami: “memento audere semper”.
Così tutti i mezzi di ricerca sono risultati validi,
anche se non sempre esaustivi. Per fortuna qualcuno ha “inventato”
Facebook e così tramite annunci mirati, ho fatto amicizia
con Claudia Lorusso, laureanda in Architettura
al Politecnico di Bari, la quale senza troppi problemi, ha esaudito
la mia richiesta con l’invio di alcune viste prodotte
al CAD di tutta l’area di mio interesse.
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Sezione
palazzo di sinistra |
Sezione
palazzo di destra |
Basamento
della scalinata |
Posizionamento
sezione palazzine |
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Un vero colpo di fortuna! Adesso si può lavorare con
delle quote sicure. Nel frattempo ho scandagliato il web alla
ricerca di fotografie che riproducessero l’area, mettendo
assieme circa 200 fotografie di ogni epoca, compreso l’anno
1964 fissato per la ricostruzione. La tentazione di ricostruire
da Piazza di Spagna fino in alto la Chiesa di Trinità
dei Monti era forte, ma le misure in scala 1:43 che ne sarebbero
derivate, erano proibitive per una ricostruzione amatoriale
e non industriale come la mia.
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Particolare
scalinata |
Particolare
scalinata |
Vista |
Realizzazione
lampioni |
Particolare
portone |
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Quindi ricostruzione delle prime tre sezioni di scalinata partendo
da Piazza di Spagna fino alla prima terrazza posta alla fine
dei due palazzotti laterali che le fanno da contenimento e creazione
di una quinta sezionata a filo tetti. In effetti non riprodurre
la chiesta in cima alla scalinata con i suoi 135 gradini mi
è costato sacrificio morale, ma nella vita non tutto
si può fare.
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Vista
diorama |
Vista
diorama |
Vista
diorama |
L'Alfa
1900 dei fuorilegge |
Scorcio
scalinata |
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Nel marzo 2011 ho incominciato a sviluppare i disegni riportandoli
in scala 1:43 e inutile negarlo, la parte che ha richiesto maggiori
sforzi progettuali è stata proprio la scalinata, con
le sue sezioni, le sue alzate e le inclinazioni laterali. Calcoli
su calcoli per suddividere i gradini e farli combaciare con
l’alzata totale. Trovato il sistema, tutto il resto è
stato costruito intorno alla stessa. Ho passato serate intere
a studiare le proiezioni CAD e riportarle sul foglio da disegno,
fino ad arrivare al progetto definitivo della struttura presentata.
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Vista
diorama |
Vista
diorama |
Consegna
un poco fuori orario |
Vista
dei tetti realizzati
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Nel vivo dei lavori, un duro colpo ha rallentato e a volte sospeso
il correre della fantasia, carburante essenziale per la costruzioni
di diorami, la morte di mio padre. In quei giorni guardavo l’opera
fino a quel momento realizzata e il pensiero che tutto sarebbe
cambiato e che la scalinata restasse un’opera “incompiuta”
mi invadeva piano piano.
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Spatafora
e il collega bloccano lo "Zoppo" ai piedi della
scalinata
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Ma
la passione e la volontà di portarla a termine proprio
in suo ricordo è stata più forte, quindi all’opera
e avanti con i lavori. Le due palazzine laterali hanno ricevuto
un invecchiamento, cercando di riportare indietro l’orologio
del tempo al 1964. Il problema principale è che tutta
la scena si è svolta di sera di sera, quindi dovevo pensare
a un diorama notturno, sempre con movimento, in quanto Roma
non dorme mai, ma alcuni particolari dovevano essere notturni.
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Lato
sinistro scalinata |
Lato
destro scalinata |
Vista
aerea |
Babington's
The Room |
L'Alfa
1900 dei fuorilegge
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Così dopo avare costruito i banchetti dei venditori
di fiori, ho dovuto coprirli come vengono realmente coperti
la sera e i personaggi che fanno rivivere la scalinata,
rarefatti rispetto ad un orario giornaliero. Altra grande
fatica è stata reperire in Italia personaggi in
scala 1:43: sembra che i diorami siano stati banditi dal
territorio nazionale e quindi, vai di Internet alla ricerca
del prodotto, trovato regolarmente in Germania, avendo
un rivenditore nazionale a pochi chilometri di distanza.
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La
vita scorre normalmente in Piazza di Spagna, malgrado
il trambusto dell'arresto
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Panoramica
verticale
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Grazie
all'amico Franco Gallo,
ho reperito i modelli di vetture così come descritte
da chi inizialmente ha raccontato l'episodio. L'unica vettura
a ricevere le cure del modellista è stata l'Alfa Romeo
1900, quella rossa dello "Zoppo", che dopo avere cambiato
colore in quanto amaranto, andava ambientata, forature comprese,
alla scena riproposta. Probabilmente il Fiat 615 della Ferrero
non stava consegnando cioccolato o dolci al Babington's The
Room, che detiene il primato di prima sala da the della Capitale,
ma in questo diorama si è cercato di fondere assieme
uno spezzone di vita quotidiana della Capitale, così
come era nel 1964. Qualcuno potrà chiedersi il perchè
di tanto lavoro di costruzione per esaltare un fatto di vita
o di malavita avvenuto. La risposta è semplice: Armando
Spatafora è stato un personaggio epico e forse
unico nelle fila della Polizia romana e se le sue gesta hanno
perfino dato lo spunto ad una produzione cinematografica, allora
l'Uomo lascia spazio ad una sola cosa, al Mito.
"Siena-Monza 44 a doppia vela, passo e chiudo".
MfB |
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Modelli
inseriti nel diorama: |
Ferrari
250 GT/E 2+2 1962 - Collection Fabbri - scala 1:43
- Die cast |
Alfa
Romeo 1900 - Casa costruttrice sconosciuta - eleborazione
MfB - scala 1:43 |
Alfa
Romeo 2000 berlina - Starline Models - scala 1:43 - Die
cast |
Fiat
615 (Ferrero) 1952 - Vadis - scala 1:43 - Die cast
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Figurini:
Preiser scala 1:43 |
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Ringraziamenti: |
Carmen
Spatafora, figlia del celeberrimo M.llo Armando Spatafora
e autrice del libro "Il Poliziotto con la Ferrari" |
Claudia
Lorusso, laureanda in Architettura - Politecnico di Bari |
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Pagina
pubblicata il 21-08-2012 - © Modelfoxbrianza.it
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